Dai dati di ISTAT e Confcommercio resi
pubblici nei giorni scorsi, anche se ad occhio si percepiva che da
quattro anni, ogni giorno, 615 cittadini italiani diventano “poveri”,
emergono, per chi abbia veramente intenzione di risollevare il nostro
Paese, due precise cose da fare, nell'economia e nel mondo del
lavoro.
La prima: prendere atto che l'avanzo
positivo tra esportazioni e importazioni si registra per merito di
due precisi settori: il turismo e i servizi. E questi sono quelli su
cui puntare, sacrificandone altri ormai in decadenza. Già in
precedenti interventi l'AGL , trattando di crisi come quelle
dell'ILVA, dell'ALCOA e del Carbosulcis o del drammatico ritardo del
nostro Meridione, aveva assunto una chiara posizione: è ora di fare
delle scelte guardando in faccia alla realtà. Così, prima di noi,
hanno fatto e stanno facendo altre economie nostre concorrenti, è
ora che ci si dia una mossa. E là dove la politica, per la fase di
stallo che si sta verificando, non ne fosse capace, occorre che la
responsabilità venga assunta dalle forze sociali, dei lavoratori e
imprenditoriali. Gli ammortizzatori sociali sono una necessaria
temporanea medicina ma nulla comportano in termini di correzione di
rotta sulla via dello sviluppo. Quindi ripetiamo quanto detto,
facendo l'esempio dell'ILVA (ma stesso criterio potrebbe essere
adottato in altri casi analoghi, presenti e, sicuramente, futuri).
L'industria dell'acciaio e del carbone in Italia non ha futuro.
Riconvertiamo e dirottiamo sul turismo le forze occupazionali
presenti. Investiamo le poche risorse rimaste nei nostri tesori
naturali e artistici, facciamo dell'Italia la Florida d'Europa. E (il
tema ha avuto successo elettoralmente per chi l'ha proposto) aboliamo
i tagli all'istruzione, alla formazione e alla cultura, impiegando le
risorse non nel mantenimento di burocrazia, parassitismo e posti
clientelari ma in digitalizzazione . Solo investendo in formazione
potremo raccogliere, a breve e medio termine, risultati nella
competizione nei servizi di alta qualità. E vincere la sfida del
futuro: l'export di prodotti ad alto valore aggiunto verso i Paesi
“Brics” e “Next Eleven” .Occorre poi (è la seconda cosa da
fare subito) riorganizzare da zero l'apprendistato in Italia, sul
modello tedesco. In estrema sintesi occorre compiere una operazione
di chiarezza e lealtà. L'apprendistato in Italia non funziona poiché
dalle imprese è visto come una operazione di puro e semplice
risparmio di imposte e contributi e di ricattabilità della forza
lavoro. Dai sindacati è tollerato in quanto consente di mantenere
per altro tempo il gregge di lavoro subordinato da mungere per
perpetuare l'esistenza stessa dei grossi sindacati. Come accade
sovente nel nostro Paese, è la versione “all'italiana” di cose
che all'estero funzionano a fallire, togliendo a tutti la speranza
che qualcosa possa cambiare. Siamo ancora in attesa che chi ha
ricevuto maggiori consensi alle elezioni dimostri di volere e sapere
fare il lavoro per cui è stato “assunto” , guadagnandosi il
cospicuo stipendio. Se continueremo così, il problema si risolverà
da solo perchè tra poco non esisterà più neanche l'Italia.
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